Burg al Qahira : la torre del Cairo

Alla fine di ogni mattinata saremmo tutti troppo stanchi per andare in giro.
Troppo stanchi e troppo caldo. Al massimo, nella seconda metà del pomeriggio, ci si concede una passeggiata di un paio d’ore in posti "facili" e rilassanti.
Decidiamo di salire in cima al simbolo della grande Cairo.
Dai suoi 187 metri di altezza potremo vedere tutta la città.
Troppo stanchi e troppo caldo. Al massimo, nella seconda metà del pomeriggio, ci si concede una passeggiata di un paio d’ore in posti "facili" e rilassanti.
Decidiamo di salire in cima al simbolo della grande Cairo.
Dai suoi 187 metri di altezza potremo vedere tutta la città.
La torre si trova in mezzo a Zamalik, una delle due isole sul Nilo: Zamalik è uno dei quartieri "bene" abitato dalla maggior parte degli occidentali; qui hanno sede anche le ambasciate e i consolati come anche le sedi di rappresentanza di compagnie di tutto il mondo.
Apprendo dalla guida che la torre, fu costruita dal 1957 al 1962 grazie ai finanziamenti sovietici. Ed in effetti la costruzione è una commistione "armoniosa" di motivi architettonici socialisti e faraonici. Provate a immaginare qualcosa a metà tra Ceausescu e Tutankhamon.
Non appena raggiungiamo la cima, ci vengono subito incontro, tristemente comici, un’intera squadriglia di Faraoni e Faraone. Ovviamente sono solo dei (tristissimi) figuranti che offrono una breve spiegazione in inglese delle meraviglie della torre.
Sulla sommità, nel terrazzo panoramico circolare, stanno circa una trentina di persone. Molti gli occidentali come noi. Poi c’è una comitiva di donne provenienti dal Qatar: sono tutte velate da un telo nerissimo, integrale e totale... Da cosa capisco che provengono dal Qatar?
Semplicemente perché alcune di queste portano con orgoglio, appuntato in bella evidenza sul petto, una grossa spilla metallica con questa scritta: "I LOVE QATAR !".
Non metto in dubbio che si possa amare la propria patria.
Non lo metto in dubbio anche nel caso del Qatar, che francamente farei fatica a distinguere dal puro Nulla (una penisola di sabbia e niente più). Quello che è incredibile - in queste donne - è l’ostentazione di un’identità, di una peculiarità ("Ehi, amici!, io vengo dal Qatar! Non siamo persone qualunque!!") da parte di chi NON può mostrare NE’ la propria identità, NE’ il proprio viso. Anche le mani e i piedi, ovviamente, sono preclusi ai famelici sguardi maschili…
Ammiro le piramidi, laggiù in fondo, immerse nella foschia, a 15 chilometri dal centro.
Individuo anche il quartiere dell’istituto Don Bosco a circa 4-5 chilometri di distanza.
L’orizzonte è fosco: è una giornata afosissima e l’umidità atmosferica si fonde alla cappa di smog che sovrasta la grande Cairo.
Alla sera dopo cena mi intrattengo lungamente con Don Abdu. E’ un simpaticissimo prete egiziano. Cattolico. Sta studiando a Roma per completare la sua formazione di Salesiano.
Discutiamo della situazione dei Cristiani in Egitto .
Ovviamente, cos’altro potrei fare?, concordo con lui. Solo che -e gli chiedo un parere in proposito - ho l’impressione che l’ondata crescente di fondamentalismo islamico in tutto il mondo, sia in verità un sintomo e una spia della sua profonda voglia di rinnovamento. Anche l’Islam infatti, come è già accaduto da noi occidentali, sta affrontando la sua lotta contro la modernità.
E la modernità significa, libera circolazione delle idee; liberazione della donna; valorizzazione dell’infanzia; interpretazione libera dei testi sacri; leggi laiche non legate all’arbitraria interpretazione dei testi religiosi (il Corano).
E la modernità significa, libera circolazione delle idee; liberazione della donna; valorizzazione dell’infanzia; interpretazione libera dei testi sacri; leggi laiche non legate all’arbitraria interpretazione dei testi religiosi (il Corano).
Comunque, sebbene il 90 % delle donne sia velato, presenti cioè il capo e spesso le spalle coperte da un velo; ebbene questo velo è quasi sempre vivacemente colorato; ornato di paillettes, o ricami preziosi.
Il resto del corpo è poi avvolto in magliette attillate o jeans stretti alla moda europea.
Le donne egiziane, nei limiti rigidi imposti loro dalla morale islamica, usano il proprio corpo con non minore malizia di quelle europee.
Per le più caste c’è una lunga gonna, fino alla caviglia. Anche questa però cade con sapienza sui fianchi, avvolge e valorizza il corpo e dona all’incedere una notevole grazia.
I volti sono truccatissimi. Spesso anche in modo eccessivo e volgare.
A questo punto non si capisce che senso abbia la proibizione di coprirsi la testa quando tutto il corpo con tutte le sue forme è offerto allo sguardo e all’esibizione per gli altri.
Segno che ormai il velo si è trasformato. Un tempo aveva un significato più forte: di nascondimento di una proprietà privata, quale era appunto considerata la donna.
Oggi è diventato il simbolo di un’appartenza culturale; un guscio vuoto privo di reale significato, una imposizione fine a sé stessa che fatica sempre di più a trovare un senso o una giustificazione o una coerenza in ciò che propone.
Il resto del corpo è poi avvolto in magliette attillate o jeans stretti alla moda europea.
Le donne egiziane, nei limiti rigidi imposti loro dalla morale islamica, usano il proprio corpo con non minore malizia di quelle europee.
Per le più caste c’è una lunga gonna, fino alla caviglia. Anche questa però cade con sapienza sui fianchi, avvolge e valorizza il corpo e dona all’incedere una notevole grazia.
I volti sono truccatissimi. Spesso anche in modo eccessivo e volgare.
A questo punto non si capisce che senso abbia la proibizione di coprirsi la testa quando tutto il corpo con tutte le sue forme è offerto allo sguardo e all’esibizione per gli altri.
Segno che ormai il velo si è trasformato. Un tempo aveva un significato più forte: di nascondimento di una proprietà privata, quale era appunto considerata la donna.
Oggi è diventato il simbolo di un’appartenza culturale; un guscio vuoto privo di reale significato, una imposizione fine a sé stessa che fatica sempre di più a trovare un senso o una giustificazione o una coerenza in ciò che propone.
La cosa più buffa è che appena vent’anni fa, TUTTE le donne o quasi, già non portavano più il velo! Quando stava cadendo nel dimenticatoio della storia, il velo, così come molti precetti formali, sono tornati ferocemente alla ribalta.
...
Serata al Mohandiseen. Altro quartiere di lusso. Di gran lunga uno dei quartieri più famosi per i divertimenti notturni. Lungo viale con palme e negozi scintillanti.
Andiamo al "Concorde", un locale molto carino con alcuni ragazzi dell’istituto.
Io prendo un "Umm Ali". Letteralmente "la mamma di Alì", una sorta di budino al latte con biscotti vaniglia e cannella. Per fortuna è stato passato al forno! Non ci saranno i temutissimi problemi intestinali.
(A proposito di intestino. Il giorno successivo ci sarà la prima "caduta" sul campo. Giulia sta male e non fa lezione. Anche Claudio, pur non perdendo lezioni, mangia brodo e riso in bianco da tre giorni.)
Nel locale tutti gli uomini si baciano sulle guance e si abbracciano vigorosamente come se non si vedessero da anni. C’è una musica fortissima, sono infastidito. Tutti fumano la Shisha, il nome egiziano del Narghilè.
Torniamo con un taxi alla scuola.
Tragitto in taxi pericolosissimo, seppur, ahimè, nella norma!
Rischiati almeno tre o quattro scontri, speronamenti o tamponamenti. L’unico che pare non essersene accorto è l’autista. Nel fiume di macchine (la maggior parte con i fari spenti!!) che attraversano i lunghi viali della città, il nostro Caronte si insinua con perizia schumacheriana indovinando spazi impossibili. Giovanni da Pederobba è terrorizzato. A me fa ridere.
Nel mio arabo-egiziano ancora alle prime armi riesco a fare una chiaccheratina.
Spiego all’autista, sperando rallenti un po’, chi siamo e cosa facciamo al Cairo.
"Antùm mudarrisin fi-l Dun Buscu?" (voi professori del Don Bosco?), mi chiede, si stupisce piacevolmente, e ci dimezza subito la tariffa.
Mi spiega che un nipote… o qualcosa del genere (parlava troppo veloce) aveva frequentato la scuola. Mi spiega che è musulmano ma che i Cristiani sono tutti suoi amici.
Del resto… "ITALIA, BABA IOHANNA PAUL II, raghil kibir !!", urla a gran voce. Un grande uomo, "raghil kibir", un grande uomo. E fa un largo movimento delle mani per sottolineare la statura morale dell’ex papa.
Io invece le mani le uso per puntarmi contro il cruscotto, sapientemente foderato di uno schifosissimo pellicciotto sintetico, e spero che i freni di una Peugeot del 1972 funzionino ancora a dovere.
Andiamo al "Concorde", un locale molto carino con alcuni ragazzi dell’istituto.
Io prendo un "Umm Ali". Letteralmente "la mamma di Alì", una sorta di budino al latte con biscotti vaniglia e cannella. Per fortuna è stato passato al forno! Non ci saranno i temutissimi problemi intestinali.
(A proposito di intestino. Il giorno successivo ci sarà la prima "caduta" sul campo. Giulia sta male e non fa lezione. Anche Claudio, pur non perdendo lezioni, mangia brodo e riso in bianco da tre giorni.)
Nel locale tutti gli uomini si baciano sulle guance e si abbracciano vigorosamente come se non si vedessero da anni. C’è una musica fortissima, sono infastidito. Tutti fumano la Shisha, il nome egiziano del Narghilè.
Torniamo con un taxi alla scuola.
Tragitto in taxi pericolosissimo, seppur, ahimè, nella norma!
Rischiati almeno tre o quattro scontri, speronamenti o tamponamenti. L’unico che pare non essersene accorto è l’autista. Nel fiume di macchine (la maggior parte con i fari spenti!!) che attraversano i lunghi viali della città, il nostro Caronte si insinua con perizia schumacheriana indovinando spazi impossibili. Giovanni da Pederobba è terrorizzato. A me fa ridere.
Nel mio arabo-egiziano ancora alle prime armi riesco a fare una chiaccheratina.
Spiego all’autista, sperando rallenti un po’, chi siamo e cosa facciamo al Cairo.
"Antùm mudarrisin fi-l Dun Buscu?" (voi professori del Don Bosco?), mi chiede, si stupisce piacevolmente, e ci dimezza subito la tariffa.
Mi spiega che un nipote… o qualcosa del genere (parlava troppo veloce) aveva frequentato la scuola. Mi spiega che è musulmano ma che i Cristiani sono tutti suoi amici.
Del resto… "ITALIA, BABA IOHANNA PAUL II, raghil kibir !!", urla a gran voce. Un grande uomo, "raghil kibir", un grande uomo. E fa un largo movimento delle mani per sottolineare la statura morale dell’ex papa.
Io invece le mani le uso per puntarmi contro il cruscotto, sapientemente foderato di uno schifosissimo pellicciotto sintetico, e spero che i freni di una Peugeot del 1972 funzionino ancora a dovere.
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