Metafisica del Turismo

Il tour classico in alto Egitto: i templi faraonici
Una mattina di fine Agosto parto per l’Egitto meridionale (l’Alto Egitto perché è la parte alta del corso del fiume Nilo) in compagnia di altri 15 connazionali.
Rimaniamo 7 giorni visitando tutto il possibile.
Non parlerò di quello che abbiamo visto nei dettagli. Chiunque lo voglia non deve far altro che consultare una guida turistica o una agenzia viaggi.
Non avrebbe senso fare un’arida elencazione di templi, obelischi e tombe varie
viste a Luxor e Karnak o nella Valle dei Re, ad Abu Simbel ecc ecc ecc tutte tappe imprescindibili per chi volesse capire tutto, ma proprio tutto dell’antica civiltà egizia.
Premetto che, per tutta la durata del viaggio, sono stato attraversato da un sottile senso di disagio che si chiarirà nella mia mente solo con il passare dei giorni.
Guardate meglio la foto con il geroglifico qui sotto.

E’ un geroglifico “molto antico” sulla pareti di un tempio dell’Alto Egitto.
Roba di 3000 anni fa.
In bell’ordine troviamo:
un carro armato, un sottomarino, un aereo… strano, no?!
Ricordo la nostra guida - mentre ci mostrava questo prezioso reperto nel suo italiano raffinato e pieno di sfumature – la sua voce si era attenuata e si era fatta più misteriosa.
La spiegazione viene sospesa creando un alone di mistero: “Nessuno sa come chi e perché, non chiedetemi altro…”.
Mistero.
Ohhhh! di meraviglia si sprecano. I flash impazzano e la mia Fuji non è da meno nell’immortalare il graffito misterioso.
Ma veniamo alla sostanza del mio viaggio in alto Egitto.
I templi certamente. E con questi un’arida lunghissima elencazione di dati, fatti, battaglie, miti, nomi di re, nomi di dei, nomi di riti ecc ecc.
E le datazioni? Vogliamo dimenticarle?
Di fronte ad ogni costruzione la nostra guida si sofferma, giustamente, sulla collocazione temporale come primo dato da tenere presente:
“Questo è un tempio del medio regno circa 1550 a.c.” oppure “Il faraone Ramsete II visse e regnò 30 anni nel xyz secolo avanti Cristo”.
Ad ogni numero quel senso di disagio cresceva sempre di più.
E’ un continuo bombardamento.
Centinaia di nomi, di leggende, di riti.
Quello è il dio Seth… ah no ca…, è AmonRa il Dio sole! Quello invece è Anubi che pare sempre incazzato come un azteco. Poi c’è sua moglie che se la faceva con Dio K… prima che la scovasse suo marito e la facesse a pezzetti…
Ecco, è questa l’idea che mi trasmettono le rovine egiziane. Violenza, terrore, paura e sottomissione. Non vedo serenità.
La bellezza artistica è al servizio del potere: impressiona, spaventa, sottomette, incute terrore.
Dovunque è un pullulare di faraoni incazzosi che decapitano decine di prigionieri: è una delle immagini più ricorrenti. Il faraone ritorna, ovviamente vincitore, da una battaglia e tiene con una mano i prigionieri legati con lunghe corde. Nell’altra mano brandisce un’ascia…….
Dopo otto giorni di “pietroni cocenti”, perché tali erano le rovine archeologiche, infuocate dal sole dell’alto Egitto (40/45 gradi all’ombra ma noi eravamo sempre AL SOLE) nessuno di noi ne poteva veramente più.
Le nozioni si sovrappongono senza pietà e senza ordine nei nostri poveri teschietti grondanti di sudore e cotti dal sole.
Proprio quando cominciavo a chiedermi cosa mi sarebbe rimasto in testa quel senso di disagio di cui parlavo prima comincia a trovare un senso e una spiegazione quando visitiamo il famossimo e maestoso tempio di Abu Simbel.
Ricordate le piene del Nilo?
Le abbiamo studiate tutti quanti alle scuole elementari.
Il sacro fiume ogni anno durante le piene estive straripava inondando le valli con il suo limo miracoloso.
Così, per secoli, gli Egiziani sono stati, e di gran lunga, il popolo più evoluto e civile e ricco sulla faccia della terra.
E’ ovvio. Chi poteva disporre, in tutto il pianeta di un così grande ed efficiente sistema di irrigazione e di fertilizzazione naturale?
Nel medioevo si impiegarono generazioni per capire come coltivare i campi senza impoverirli; con la rotazione e con la messa a riposo dei terreni.
Però la produttività agricola era molto scarsa.
In Egitto invece c’erano anche più raccolti l’anno: tutto il paese si sviluppava lungo il fiume e lungo il fiume esplodeva la vitalità di questa antica civiltà.
In più, d’estate, durante il periodo delle piene la forza lavoro doveva essere impiegata per settimane in altri lavori in attesa del deflusso delle acque.
Quando ancora si era in piena età della pietra (3000 a.c.) lor signori gli antichi egizi, con la pancia ben piena, si mettono a costruire piramidi di 170 metri, trasportando blocchi di calcare pesanti tonnellate. Non dispongono di ferro, né di martelli, argani.
Il ferro ancora non c’è. Mancano ancora alcuni secoli!
Tutto è fatto a prezzo di una fatica inimmaginabile. Le pietre sono frantumate con altre pietre un po’ più dure. I millimetrici blocchi dei templi e delle piramidi sono levigati con sabbie abrasive fino a renderli perfettamente piatti….
Tutto questo, e cioè il “protagonismo del Nilo” dura fino alla metà del secolo scorso.
Il governo egiziano decide la costruzione di quella che sarà il più grande sbarramento fluviale del mondo: la diga di Aswan.
Le piene del fiume sono ormai un ricordo del passato.
Viene creato un bacino artificiale, il lago Nasser, ovviamente il più grande al mondo (artificiale). Il lago è così grande che coprirà, facendoli irrimediabilmente scomparire, alcuni fra i templi più grandiosi.
Abu Simbel era una di quelle costruzioni.
Smontarla mattone per mattone e metterla in un luogo sicuro? Impossibile.
Non venne costruito con volgari mattoni o pietroni di calcare.
Esso fu scavato dentro una montagna cosicchè il declivio della stessa ne divenne la facciata; all’interno furono ricavate stanze gigantesche.
Il tempio di Abu Simbel è un enorme monolite!
Come mettere in salvo questa piccola montagna?
Allora alcune ditte (italiane) “segarono” in enormi blocchi la montagnola e con notevole perizia tecnica ed estetica, la ricostruirono in un luogo più alto e asciutto.
Fu ricreata una finta montagnola di cemento armato. All’esterno una copertura di sassi invero molto realistica.
Tutto fu spostato: anche la più piccola pietra in modo fedelissimo.
Il ronzio nella testa aumenta.
Per terra, di fronte alla monolitica facciata, stanno enormi frammenti di viso crollati, chissà quando, dalla facciata.
La guida locale spiega che si spezzarono e caddero in seguito ad un terremoto (2000 anni fa).
Nel corso del recupero le ditte italiane con dotta saggezza (a mio modesto parere) scelsero di non modificare ciò che era stato prodotto dall’azione del tempo.
I frammenti di faccione del faraone rimasero lì dove il terremoto li aveva scaraventati: a terra.
Che finezza questi restauratori italiani.
Valico l’entrata del tempio. Guardo alla mia destra e finalmente trovo qualcosa che possa aiutarmi a chiarire quel senso di disagio.
Su un blocco campeggia la scritta:
Una mattina di fine Agosto parto per l’Egitto meridionale (l’Alto Egitto perché è la parte alta del corso del fiume Nilo) in compagnia di altri 15 connazionali.
Rimaniamo 7 giorni visitando tutto il possibile.
Non parlerò di quello che abbiamo visto nei dettagli. Chiunque lo voglia non deve far altro che consultare una guida turistica o una agenzia viaggi.
Non avrebbe senso fare un’arida elencazione di templi, obelischi e tombe varie
viste a Luxor e Karnak o nella Valle dei Re, ad Abu Simbel ecc ecc ecc tutte tappe imprescindibili per chi volesse capire tutto, ma proprio tutto dell’antica civiltà egizia.
Premetto che, per tutta la durata del viaggio, sono stato attraversato da un sottile senso di disagio che si chiarirà nella mia mente solo con il passare dei giorni.
Guardate meglio la foto con il geroglifico qui sotto.

E’ un geroglifico “molto antico” sulla pareti di un tempio dell’Alto Egitto.
Roba di 3000 anni fa.
In bell’ordine troviamo:
un carro armato, un sottomarino, un aereo… strano, no?!
Ricordo la nostra guida - mentre ci mostrava questo prezioso reperto nel suo italiano raffinato e pieno di sfumature – la sua voce si era attenuata e si era fatta più misteriosa.
La spiegazione viene sospesa creando un alone di mistero: “Nessuno sa come chi e perché, non chiedetemi altro…”.
Mistero.
Ohhhh! di meraviglia si sprecano. I flash impazzano e la mia Fuji non è da meno nell’immortalare il graffito misterioso.
Ma veniamo alla sostanza del mio viaggio in alto Egitto.
I templi certamente. E con questi un’arida lunghissima elencazione di dati, fatti, battaglie, miti, nomi di re, nomi di dei, nomi di riti ecc ecc.
E le datazioni? Vogliamo dimenticarle?
Di fronte ad ogni costruzione la nostra guida si sofferma, giustamente, sulla collocazione temporale come primo dato da tenere presente:
“Questo è un tempio del medio regno circa 1550 a.c.” oppure “Il faraone Ramsete II visse e regnò 30 anni nel xyz secolo avanti Cristo”.
Ad ogni numero quel senso di disagio cresceva sempre di più.
E’ un continuo bombardamento.
Centinaia di nomi, di leggende, di riti.
Quello è il dio Seth… ah no ca…, è AmonRa il Dio sole! Quello invece è Anubi che pare sempre incazzato come un azteco. Poi c’è sua moglie che se la faceva con Dio K… prima che la scovasse suo marito e la facesse a pezzetti…
Ecco, è questa l’idea che mi trasmettono le rovine egiziane. Violenza, terrore, paura e sottomissione. Non vedo serenità.
La bellezza artistica è al servizio del potere: impressiona, spaventa, sottomette, incute terrore.
Dovunque è un pullulare di faraoni incazzosi che decapitano decine di prigionieri: è una delle immagini più ricorrenti. Il faraone ritorna, ovviamente vincitore, da una battaglia e tiene con una mano i prigionieri legati con lunghe corde. Nell’altra mano brandisce un’ascia…….
Dopo otto giorni di “pietroni cocenti”, perché tali erano le rovine archeologiche, infuocate dal sole dell’alto Egitto (40/45 gradi all’ombra ma noi eravamo sempre AL SOLE) nessuno di noi ne poteva veramente più.
Le nozioni si sovrappongono senza pietà e senza ordine nei nostri poveri teschietti grondanti di sudore e cotti dal sole.
Proprio quando cominciavo a chiedermi cosa mi sarebbe rimasto in testa quel senso di disagio di cui parlavo prima comincia a trovare un senso e una spiegazione quando visitiamo il famossimo e maestoso tempio di Abu Simbel.
Ricordate le piene del Nilo?
Le abbiamo studiate tutti quanti alle scuole elementari.
Il sacro fiume ogni anno durante le piene estive straripava inondando le valli con il suo limo miracoloso.
Così, per secoli, gli Egiziani sono stati, e di gran lunga, il popolo più evoluto e civile e ricco sulla faccia della terra.
E’ ovvio. Chi poteva disporre, in tutto il pianeta di un così grande ed efficiente sistema di irrigazione e di fertilizzazione naturale?
Nel medioevo si impiegarono generazioni per capire come coltivare i campi senza impoverirli; con la rotazione e con la messa a riposo dei terreni.
Però la produttività agricola era molto scarsa.
In Egitto invece c’erano anche più raccolti l’anno: tutto il paese si sviluppava lungo il fiume e lungo il fiume esplodeva la vitalità di questa antica civiltà.
In più, d’estate, durante il periodo delle piene la forza lavoro doveva essere impiegata per settimane in altri lavori in attesa del deflusso delle acque.
Quando ancora si era in piena età della pietra (3000 a.c.) lor signori gli antichi egizi, con la pancia ben piena, si mettono a costruire piramidi di 170 metri, trasportando blocchi di calcare pesanti tonnellate. Non dispongono di ferro, né di martelli, argani.
Il ferro ancora non c’è. Mancano ancora alcuni secoli!
Tutto è fatto a prezzo di una fatica inimmaginabile. Le pietre sono frantumate con altre pietre un po’ più dure. I millimetrici blocchi dei templi e delle piramidi sono levigati con sabbie abrasive fino a renderli perfettamente piatti….
Tutto questo, e cioè il “protagonismo del Nilo” dura fino alla metà del secolo scorso.
Il governo egiziano decide la costruzione di quella che sarà il più grande sbarramento fluviale del mondo: la diga di Aswan.
Le piene del fiume sono ormai un ricordo del passato.
Viene creato un bacino artificiale, il lago Nasser, ovviamente il più grande al mondo (artificiale). Il lago è così grande che coprirà, facendoli irrimediabilmente scomparire, alcuni fra i templi più grandiosi.
Abu Simbel era una di quelle costruzioni.
Smontarla mattone per mattone e metterla in un luogo sicuro? Impossibile.
Non venne costruito con volgari mattoni o pietroni di calcare.
Esso fu scavato dentro una montagna cosicchè il declivio della stessa ne divenne la facciata; all’interno furono ricavate stanze gigantesche.
Il tempio di Abu Simbel è un enorme monolite!
Come mettere in salvo questa piccola montagna?
Allora alcune ditte (italiane) “segarono” in enormi blocchi la montagnola e con notevole perizia tecnica ed estetica, la ricostruirono in un luogo più alto e asciutto.
Fu ricreata una finta montagnola di cemento armato. All’esterno una copertura di sassi invero molto realistica.

Tutto fu spostato: anche la più piccola pietra in modo fedelissimo.
Il ronzio nella testa aumenta.
Per terra, di fronte alla monolitica facciata, stanno enormi frammenti di viso crollati, chissà quando, dalla facciata.
La guida locale spiega che si spezzarono e caddero in seguito ad un terremoto (2000 anni fa).
Nel corso del recupero le ditte italiane con dotta saggezza (a mio modesto parere) scelsero di non modificare ciò che era stato prodotto dall’azione del tempo.
I frammenti di faccione del faraone rimasero lì dove il terremoto li aveva scaraventati: a terra.
Che finezza questi restauratori italiani.
Valico l’entrata del tempio. Guardo alla mia destra e finalmente trovo qualcosa che possa aiutarmi a chiarire quel senso di disagio.
Su un blocco campeggia la scritta:

Bah!
Avete ancora difficoltà a ricordare le date essenziali della storia egizia?
Avete difficoltà a ricordare le date delle 30 dinastie dei faraoni. Medio regno, antico regno, nuovo regno?
Chissenefrega. Basta leggere sui muri, c’è scritto!!!
1841.
La firma orgogliosamente scalpellata da un nostro connazionale di cento anni fa esibisce il fiero orgoglio araldico di un oscuro tenentino di passaggio da queste parti.
Ma sulle pareti ci sono decine di queste firme. Da tutti i paesi d’Europa.
Molti dei miei compagni di viaggio si scandalizzano a causa di questi graffiti a volte impudentemente incisi perfino sui volti degli dei o dei faraoni.
“D E T U R P A T O R I !!!” – urlano alcuni dei di loro.
Non sono d’accordo.
Siamo nell’Ottocento.
E’ l’epoca degli europei in Egitto. Della scoperta di un estetica che invaderà l’Europa: statue, salotti, porte, soprammobili, case in stile egizio.
I viaggiatori europei vivono la meraviglia dell’antichissima civiltà sepolta che ritorna alla luce dopo molti secoli. E la reinventano.
Quelle firme non sono fatte da oscuri writers del secolo scorso ma dai veri creatori di questi templi: essi li hanno “firmati” così come uno scultore firmerebbe la sua opera; così come i fregi del Partenone sono stati “inventati” dagli Inglesi, che li esposero al British Museum. I Greci, a quel tempo, non sapevano che farsene!
L’epoca dei viaggiatori esploratori è finita. Adesso ci siamo noi turisti. E i turisti devono spedire le cartoline, fare le foto, pisciare in un bagno decente; devono vedere il beduino sottomesso che chiede (ma in modo così poetico!) il “bahshish” (la mancia) al turista di passaggio.
Se poi il “beduino della pro loco” (di guardia ai monumenti) è stato sapientemente istruito dalla Pro Loco stessa, vi chiederà immancabilmente un congruo ed equivalente prezzo per la vostra ragazza/moglie: 7 cammelli per la signora? Ma andiamo? Ne vale almeno 25!!”
E i turisti giù a ridere soddisfattissimi di aver pagato il biglietto e di costatare come al mondo ci siano ancora i “selvaggi”, gli “incivili” che farebbero risaltare la nostra superiore civiltà.
Un altro esempio.
Se andate nella piana di Ghiza, al Cairo, laddove ci sono le tre famose piramidi ed entrate nella camera sepolcrale della seconda, (la piramide di Chefren) vi troverete una scritta a caratteri cubitali: “Scoperta da G. Belzoni, anno 1867”.
Non sono sicuro dell’anno. Comunque non ha importanza.
La piramide era lì da 45 secoli e, modestamente, il nostro connazionale padovano l’ha scoperta!!!
Man mano che l’antica civiltà egizia veniva alla luce quella moderna, la nostra, la interpretava a seconda delle esigenze attuali. E’ l’epoca della borghesia industriale e commerciale. I salotti si riempiono di ninnoli, oggettistica faraonica ecc ecc. Anche i circoli massonici fanno riferimento alle simbologie dell’antico Egitto vedendo in queesto il depositario di chissà quali segreti spirituali.
Pensiamo anche alla più grande opera di tutti i tempi: Il flauto magico di Mozart. E’ una favola e, guarda caso, è ambientata… indovinate dove?
L’esploratore-viaggiatore nel corso dei suoi viaggi è trasformato dalla scoperta. Per lui è tutto nuovo, non sa cosa vedra e tornerà dal viaggio completamente rinnovato e trasformato.
Non sa cosa vedrà, lo racconterà alla fine del suo viaggio.
Finita l’epoca dei viaggiatori esploratori, degli Champollion, dei Belzoni, dei Livingstone, adesso ci rimane solo che essere turisti.
Il turista, al contrario del viaggiatore, è colui che trasforma quello che visiterà ancor prima di visitarlo, nel senso che non ha ancora visto quello che vedrà ma sa già quello che dovrà visitare, anzi, gli viene fatto trovare prorprio quello che desidera e nient’altro.
Il turista è colui che paga un biglietto e che trasforma ciò che visita ancor prima del suo arrivo in virtù del suo essere turista.
La prova?
Guardate la foto del tempio di Vattelapesca.

Bello, eh? Visto come luccica al sole? Si direbbe quasi… nuovo!
In fondo i turistelli pagano.
Li manderemo mica a casa con le pive nel sacco? Noooooooooo.
Quelli della sopraintendenza locale si devono essere fregati le mani.
Perché lasciare a terra quel tempio laggiù, in fondo alla valle, crollato da 25 secoli?
Dai lo rimettiamo su! Ma con MATERIALI ORIGINALI che vi credete!! Un restauro filologico!!!!
Che stupidi che siete voi italiani! Se solo ricostruiste il Colosseo o il Foro di Roma!
Un bel biglietto da 100 euri e risaneremmo il PIL. Niente da dire.
Ebbene, il tempio che ho davanti agli occhi è la cosa più simile ad un Autogrill Motta che io abbia visto in Egitto.
Il colpo d’occhio non è male.
Lo hanno ricostruito pietra su pietra e si direbbe ancora più antico di prima.
Il senso di stridore permane e anzi si fa più forte quando arriviamo al tempio di Dendera, vicino Luxor.
La colonna di autobus è scortata dall’esercito con mitra e caschetti militari.
Scendiamo presso un tempio.

I soldati lo circondano prima che i turisti lo prendano d’assalto. Distanti 5 metri gli uni dagli altri con i fucili in mano…io non ho neanche voglia di fare foto. Non riprendo il tempio: è uguale a tutti gli altri. Riprendo le case del paesello che abbiamo invaso in “armi”. Misere e diroccate.
I soldati difendono e circondano la surrealtà di questo luogo e lo difendono dall’Egitto reale.
In quel momento non mi sembrava di essere in Egitto ma altrove.
Al ritorno da quella visita c’è l’ennesima fermata all’ennesimo negozietto di ninnoli turistici che, a loro dire, sono in materiali autentici e finemente lavorati a mano.
Non ci si può sottrarre a questo profluvio di statuette faraoniche.
Un commesso ci dà pure una prova della reale qualità dei loro prodotti. Cerca di dare fuoco ad una statuetta di un gatto.
Colpo di scena!

Il commesso scuote la testa come per dire: “che gente disonesta!”.

Poi prende, con fare esperto, una statuetta delle loro e la sottopone ad una fiamma molto intensa.
“Vero alabastro!”, ci dice guardandoci con intensità.
Alcuni entrano nel negozio.
Altri incautamente comprano, per svariate decine di euri (uno stipendio di queste parti) le solite statuette in vero alabastro.
In treno, durante il viaggio di ritorno, una di questa statuette mi viene mostrata con grande cautela.
“Vero alabastro!”, dice l’incauto compratore.
“Vero alabastro!”, gli risponde un amico. Prende la stuatuetta e la sbatte con forza contro il vetro.
“Crashhhh????”.
No, vi sbagliate.
“SBONNNGGGGG !!!!”.
L’alabastro, chissà perché, adesso ad un esame appena più approfondito sembra un plasticone.
Anzi no. E’ proprio plastica.
Per fortuna gli amici la prendono a ridere.
Appoggio la testa sul vetro del finestrino e spero di addormentarmi presto e di risvegliarmi al Cairo.
Attraverso il vetro bisunto assisto all’ultimo assalto dei venditori locali nei confronti dei poveri turisti nordeuropei che stanno cercando di entrare nel vagone.
Ripenso alla fatica degli antichi per levigare quelle montagne di pietra a mano.
Oggi invece i tempi della civiltà industriale non ci consentono più neanche di levigare la pietra per fare una statuetta: non sarebbe conveniente.
Come per una beffa tragicomica del destino l’infinita fatica delle generazioni passate è stata trasfigurata nelle statuette di plastica: l’Egitto moderno è una citazione di quello antico.
Con la testa sempre appoggiata al vetro penso al fatto che gli egiziani moderni basano gran parte del loro prodotto interno lordo sulla fatica immane di antichissime sconosciute generazioni cui devono gran parte del loro sostenta

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